Terre alte, il futuro del cibo italiano parte dalle aree interne | Coltivazioni montane da rivalutare
Nelle terre alte italiane resiste un patrimonio agroalimentare unico, fragile ma decisivo per ambiente, cultura e futuro delle comunità.
C’è un’Italia che vive lontana dai riflettori, fatta di montagne, borghi dimenticati e campi modellati da generazioni di agricoltori.
In questi luoghi il tempo scorre diversamente, scandito dalle stagioni e dai ritmi della natura, non dalle metropoli.
Qui si custodiscono semi antichi, razze autoctone e saperi che rischiano di scomparire insieme a chi li custodisce.
Eppure proprio da queste terre potrebbe ripartire un nuovo modello di sviluppo agroalimentare e ambientale nelle terre alte.
Un patrimonio fragile ma decisivo
Le aree interne d’Italia rappresentano oltre il 60% del territorio nazionale e sono da sempre scrigni di biodiversità. Pascoli permanenti, varietà colturali uniche e pratiche agricole tradizionali hanno dato vita a produzioni irripetibili, capaci di resistere nei secoli. Tuttavia, spopolamento, carenza di infrastrutture e abbandono dei campi stanno mettendo a rischio un patrimonio che non è solo economico, ma anche culturale e ambientale.
Il paesaggio agrario, come ricordano gli studiosi, non è mai del tutto naturale: è frutto di un equilibrio tra uomo e ambiente, un equilibrio oggi minacciato da modelli agricoli intensivi che contribuiscono al cambiamento climatico. Al contrario, le terre alte offrono esempi di agroecologia, sistemi resilienti che mantengono la fertilità dei suoli e preservano l’acqua. Difendere questi territori significa, quindi, tutelare un presidio contro il dissesto idrogeologico e garantire una sovranità alimentare capace di resistere alle crisi globali.

Terre alte da rivalutare: la svolta normativa
Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo anche a livello legislativo. La Legge 194/2015 ha introdotto strumenti per la tutela della biodiversità agraria, mentre la Strategia Nazionale per le Aree Interne ha iniziato a dare attenzione a questi territori. A giugno 2024 è arrivato un ulteriore passo avanti con l’approvazione della Nature Restoration Law, parte del Green Deal europeo. Entro il 2030, almeno il 20% degli ecosistemi degradati dovrà essere ripristinato, con un’attenzione particolare ai pascoli e ai prati permanenti delle zone montane.
Per le aree interne italiane questa è un’opportunità storica. Significa valorizzare pratiche agricole sostenibili, rinaturalizzare i terreni, rafforzare le comunità locali e costruire economie resilienti. Ma perché questo processo non resti solo sulla carta, servono scelte politiche coraggiose: ridurre la burocrazia, favorire l’accesso alla terra per i giovani, investire in infrastrutture. Solo così i territori fragili potranno trasformarsi in laboratori di futuro, capaci di legare cibo, ambiente e cultura in un unico filo conduttore. Il destino delle terre alte, in fondo, non riguarda solo chi ci abita: è il futuro del nostro cibo, del paesaggio e della nostra identità.