Italia 2035: nazione occupata? In 10 anni via 3 milioni tra lavoro e demografia | Cosa si prevede per il futuro
Un Paese che invecchia, una forza lavoro che scompare. Ecco cosa sta succedendo davvero dietro i numeri della crisi occupazionale.
In dieci anni l’Italia perderà quasi tre milioni di lavoratori. Ma la notizia non sembra scuotere più di tanto.
Nessuna catastrofe improvvisa, solo una lenta emorragia anagrafica che cambia il volto del lavoro e della società.
Non sarà un crollo ma un’erosione costante, che colpirà ogni regione, ogni città, ogni settore produttivo.
Dietro la statistica, c’è la storia di un Paese che non riesce più a rimpiazzare chi va in pensione. Ma è proprio così? Ecco i dati.
Quando l’Italia smette di lavorare
L’allarme arriva dai numeri, ma riguarda la carne viva del tessuto sociale. Secondo le proiezioni demografiche, entro il 2035 la popolazione in età lavorativa in Italia scenderà da 37,3 a 34,4 milioni di persone. Un taglio netto da 2,9 milioni che equivale al 7,8 per cento in meno. Il motivo è chiaro: troppo pochi giovani, troppi anziani. Il Paese si ritroverà con una fascia centrale sempre più sottile. Una perdita silenziosa ma diffusa, che non risparmierà nessuna delle 107 province italiane. In un contesto già provato da transizioni epocali – energetica, digitale, geopolitica – la scomparsa graduale della forza lavoro rischia di diventare il nodo centrale della crisi.
Il mercato fatica già ora a trovare personale, soprattutto nelle Pmi. Tra dieci anni, l’impatto sarà sistemico. E non si intravedono soluzioni rapide. Le misure per invertire la tendenza demografica non bastano, e nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto. Il rischio è una società sbilanciata, dove la spesa per pensioni, sanità e assistenza crescerà, mentre il Pil rallenta. Una dinamica che pesa soprattutto sulle imprese più piccole, meno strutturate per reggere la pressione.

Chi perde e chi guadagna nella nuova geografia del lavoro
Nel Mezzogiorno la perdita sarà più intensa. A Napoli, per esempio, si stima un calo di oltre 236 mila lavoratori. In Sardegna, la fascia in età da lavoro si ridurrà del 15 per cento. Una decimazione lenta, che rischia di accentuare lo spopolamento già in atto. Le ricadute saranno trasversali: meno lavoratori significano meno domanda di abitazioni, meno mobilità, meno consumo, meno innovazione. I settori più esposti saranno quelli che si reggono su un ricambio continuo: trasporti, turismo, moda, edilizia.
In un Paese che invecchia, cambia anche il modo di vivere e di spendere. Ecco perché le banche, paradossalmente, potrebbero guadagnarci. Con una popolazione più anziana, l’inclinazione al risparmio aumenterà. I depositi cresceranno, i servizi finanziari per la terza età diventeranno un mercato strategico. Quello che oggi sembra solo un dato statistico è in realtà un cambio d’epoca. Non si tratta solo di lavoro, ma di identità nazionale. L’Italia si prepara a una trasformazione radicale, silenziosa, irreversibile. Chi saprà interpretarla, forse, potrà scrivere il prossimo capitolo. Gli altri resteranno a guardare una società che cambia, senza più le forze per muoversi.